Questa settimana incontriamo Francesco D’Andria, pugliese, nato a Laterza (Ta), docente di Archeologia all’Università del Salento, direttore della Scuola di Specializzazione di Archeologia dell’Università del Salento, direttore della “Missione scientifico-archeologica” che opera in Turchia su concessione del Ministero della Cultura e del Turismo Turco e che ha compiuto una della più clamorose scoperte archeologiche italiane del nostro tempo: “La Tomba dell’Apostolo San Filippo” a Hierapolis in Frigia, direttore scientifico del Progetto “SESA – Sistema Ecomuseale del Salento, creato e monitorato in sinergia con l’architetto Francesco Baratti.
1. Come è nata la sua vocazione all’Archeologia?
“La mia passione per il lavoro dell’archeologo nasce da una domanda, che mi ero posto quando ero ancora un ragazzo, nella mia città, Taranto. Negli anni Sessanta la “città dei due mari” conosceva uno straordinario sviluppo edilizio e spesso, tornando a casa da scuola, mi accorgevo che nel terreno accumulato davanti ai cantieri, proveniente dalle risulte di scavo, c’erano dei cocci, alcuni rivestiti da una vernice nera brillante. La domanda che mi ponevo allora è la stessa di oggi: esiste una spiegazione per capire il perché di tanti manufatti sepolti negli strati profondi del terreno? In tutti questi anni ho cercato di rispondere utilizzando i metodi che l’evoluzione scientifica dell’archeologia ha messo a nostra disposizione. E ancora, dopo tanti anni di lavoro, grande è la curiosità e la voglia di apprendere.”
2. Il suo personale modo di concepire l’Archeologia ed il suo modo di essere archeologo?
“Per essere un buon archeologo e per far progredire la nostra disciplina bisogna “uscire dall’Archeologia”. E’ necessario abbandonare le illusorie certezze di quello che abbiamo appreso e cercare il dialogo con le altre discipline, per trovare nuovi orizzonti nella comprensione dell’avventura dell’uomo attraverso il tempo. L’innovazione nasce da questo superamento; nella mia esperienza di direzione di un Istituto del CNR-Consiglio Nazionale delle Ricerche, l’IBAM (Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali), il mio obiettivo principale era quello di far collaborare gli archeologi con gli architetti, con gli informatici, i geologi, i bioarcheologi, ma anche con i rappresentanti delle cosiddette “scienze dure”, fisici e chimici. Abbiamo pubblicato un volume che contiene la sintesi di questo lavoro il cui titolo “Il dialogo dei saperi” vuole proprio indicare questa unica condizione per il progresso della conoscenza, anche quella della nostra Storia.”
3. Lei è originario di Laterza, ha studiato a Milano, ha lavorato in Molise e poi è ritornato in Puglia, nel Salento …. Ed ha sempre affermato di averlo fatto con gioia … Perché? Anche lei per desiderio di ritrovare se stesso?
“Tornare nella mia Puglia ad insegnare nella splendida città di Lecce, insieme a mia moglie Veronique, francese delle regioni normanne, è stata per me una grande gioia. Primo perché ho bisogno del mare, questo “cemento liquido” che unisce le culture più diverse … e il mare non lo trovavo né nella pianura padana e nelle sue nebbie, né tra le montagne del Molise, nel rigore del suo inverno. Poi perché volevo anch’io partecipare alla gioia di scoprire i tesori di storia che solo il nostro Sud può restituire: infatti fu Dinu Adamesteanu, negli anni ’70, allora Soprintendente in Basilicata e docente all’Università di Lecce a motivare le ragioni del mio ritorno prima a Matera e Metaponto e poi nel Salento.”
4. Adesso Archeologia è uno dei settori disciplinari più all’avanguardia e proiettati al futuro dell’Ateneo Salentino, questo anche grazie alla Scuola di Specializzazione in Archeologia Classica e Medioevale che lei dirige, come si è riusciti a raggiungere questo traguardo?
“Sì, l’Archeologia non è la Scienza del Passato, ma del Futuro perché nessun futuro potrà essere possibile senza partire da una base solida che non può essere che la nostra Storia e la nostra Identità. Per questo l’Economia, oggi al centro dello scenario politico, da sola non basta, anzi può provocare danni gravissimi senza una visione di lunga durata. La Scuola di Specializzazione di Lecce cerca di formare giovani professionisti aperti alla cosiddetta “multidisciplinarità”, con una coscienza civica che tenga conto dell’utilità sociale del nostro lavoro. Una delle più grandi soddisfazioni l’hanno offerta proprio gli allievi che tre anni fa sono venuti a Cavallino, sede della Scuola, per festeggiare i trent’anni di attività presentando le loro ricerche scientifiche oggi raccolte in due volumi a cura dell’editore Congedo, un protagonista della cultura salentina per la qualità del suo lavoro. E quasi tutti erano diventati funzionari nelle Soprintendenze, ricercatori del CNR, docenti nelle Università in Italia e alcuni anche in Francia e Spagna. Un modello per i più giovani e una conferma della utilità del nostro impegno.”
5. L’approccio alternativo alla conoscenza del Salento è stata l’idea di intraprendere i percorsi di tutela e racconto di un paesaggio partiti con la riqualificazione dei paesaggi archeologici per poi coinvolgere le comunità locali, rendendole protagoniste con le proprie narrazioni concentrate sui luoghi ed i costumi della propria memoria … Questi percorsi sono proponibili ovunque?
“Oggi la tutela non è un compito burocratico che possa essere svolto da un solo agente; bisogna pensare invece a un “Sistema della tutela” in cui tutti abbiano un impegno di responsabilità, dalla conoscenza alla valorizzazione. Anche perché la tutela non si applica più, come nella legislazione passata, a singole “cose” di interesse archeologico o artistico ma, come recita il Codice Urbani, a contesti in cui paesaggi, singoli borghi o città, musei locali e nazionali, formano un tutt’uno, un tessuto che costituisce la vera grande ricchezza della nostra Italia. Per questo bisogna “fare sistema” e unirsi: enti territoriali, Università, enti di ricerca, come il CNR e le sue tecnologie, Ministero dei Beni Culturali. Il territorio è il nostro BENE COMUNE; tornare al territorio, scoprire la sua cultura, non solo archeologica o storica ma anche quella dei saperi tradizionali e della civiltà contadina, significa porre le basi anche per superare la crisi attuale.”
6. Ci sono dei presupposti per cui un “luogo” specifico venga scelto per intraprendere percorsi di riqualificazione del paesaggio culturale?
“L’unico presupposto è la conoscenza che ci permette di riconoscere i contesti territoriali e i paesaggi più densi di valori culturali e di riscoprirne il senso.”
7. Dagli anni ’90 ad oggi sono stati realizzati interventi di riqualificazione del paesaggio culturale, di cui lei ha curato la direzione scientifica, che hanno portato nel Salento alla realizzazione di numerosi musei diffusi: quello di Cavallino, quello del Castello d’Alceste a San Vito dei Normanni, il Parco dei Guerrieri a Vaste, gli ecomusei di Botrugno, Neviano e Acquarica di Lecce. In tutti questi casi l’archeologia ha avuto una funzione di “leva” … in che modo?
“La realizzazione dei Musei Diffusi nel Salento è stato uno dei maggiori risultati della lunga azione di impegno civile e tutela del nostro patrimonio territoriale. Ma il modello si sta estendendo anche in altri contesti, ad esempio della provincia di Foggia. L’archeologia è fondamentale per scoprire lo spessore dei paesaggi nel tempo. Se non avessimo avuto a Cavallino la “leva” dell’archeologia, anche il suo straordinario paesaggio rurale salentino fatto di muri a secco, di pagliare, di rocce affioranti, non ci sarebbe più. Dopo anni in cui sembrava un’impresa impossibile (addirittura l’area archeologica era già stata lottizzata e destinata alla cementificazione), le cose sono cambiate, quasi per miracolo. Il vincolo archeologico imposto da un grande Soprintendente come Dinu Adamesteanu e poi l’intervento di Provincia, Regione e Comune per acquistare i suoli hanno permesso di realizzare un sogno, salvare una delle più importanti città arcaiche della Messapia. In questa fase è stato fondamentale il ruolo del Comune di Cavallino e del suo sindaco, l’onorevole Gaetano Gorgoni, che ha compreso che i Beni Culturali possono essere motore per lo sviluppo civile ed economico.”
8. Queste esperienze hanno inoltre permesso lo sviluppo di un progetto pilota (il progetto SESA) per la Puglia, in che cosa consiste e che cosa si propone?
“Il progetto SESA (Sistema Ecomuseale del Salento), è stato elaborato da un mio valido amico e collaboratore, l’architetto Francesco Baratti, autore di un importante libro pubblicato dall’editore Franco Angeli, dal titolo “Ecomusei, paesaggi e comunità” che costituisce la sintesi di tante attività, nella ricerca di formule innovative. Su questa base è stato elaborato il testo della legge regionale sugli Ecomusei che costituisce uno strumento nuovo ed efficace per sviluppare queste idee in un quadro istituzionale.”
9. E’ chiaro che l’ ecomuseo è esempio virtuoso di come un’intera comunità, le istituzioni, gli operatori culturali possano collaborare per tutelare e rivalutare il bene paesaggistico, ma cosa occorre per attivare questa volontà di imparare a conoscersi a fondo?
“Le condizioni fondamentali perché queste idee si avverino stanno nel livello di cultura e di sensibilità che le singole comunità potranno raggiungere. Per questo la politica deve investire di più nella Scuola, nell’Università, nella Ricerca, base indispensabile per contrastare il processo contrario in cui ognuno pensa solo al suo interesse privato.”
10. La città di Manduria partecipa pienamente al quadro storico relativo all’antico Salento “iapigio – messapico”, sviluppandosi e assumendo rilevanza tale da essere citata nell’opera di Plutarco, Tito Livio e Plinio. Come si può eccellere questa relazione storica?
“Manduria è una delle città messapiche più importanti insieme alla vicina Oria. Fanno parte dello stesso sistema territoriale, come nell’Antichità lungo la via istmica tra Ionio e Adriatico e sarebbe importante che le due città riscoprissero queste comuni radici per collaborare in un progetto che dia visibilità alla loro grande e affascinante storia.”
11. Una sua riflessione sul Parco Archeologico delle Mura Messapiche di Manduria e sulle sua difficoltà ad emergere nonostante più volte se ne siano evidenziate le potenzialità?
“Effettivamente il Parco Archeologico delle Mura Messapiche di Manduria stenta a sviluppare le sue grandi potenzialità, anche come fattore di sviluppo turistico. Bisogna perciò pensare in termini nuovi adottando i metodi del Museo Diffuso e dell’Ecomuseo in modo da agganciare il Parco Archeologico ad un più vasto spazio territoriale, lavorando insieme ad Oria e pensando anche in un quadro allargato a tutto il territorio brindisino. Perché non rilanciare un’Associazione dei Comuni Messapici, insieme a Mesagne, Muro Tenente, Brindisi, Ostuni creando un pacchetto unitario di offerta turistica? In questa strategia di sviluppo e di progetti comuni il Suo giornale può svolgere un’opera preziosa di sensibilizzazione.”
Autore articolo: Loredana Ingrosso – l.ingrosso@lavocedimanduria.it
Fonte: “La Voce di Manduria”, 29 Febbraio 2013
RIPRODUZIONE RISERVATA © Copyright 2009-2012 PlayourPlace.it