
Aldo Summa è un giovane architetto, originario di Maruggio che si prodiga per una socializzazione dell’architettura focalizzata sulla “partecipazione”. Egli infatti non utilizza linguaggi, metodi e strumenti “di casta” che escludono chi non è nello spazio definito del gioco, ma promuove la partecipazione della gente ai processi di trasformazione di città e territori.
Conosciamolo meglio.
Signor Summa, cos’è la “Partecipazione”?
“Non è semplice dare una definizione standard del concetto di “Partecipazione”, soprattutto perché essa può avere significati differenti a seconda degli ambiti della vista sociale in cui si pratica. Proverò, nello specifico, a far comprendere cosa significa “partecipare” nei processi di pianificazione territoriale e, di conseguenza, come improntare il coinvolgimento attivo delle popolazioni.
I primi interpreti delle percezioni e delle attribuzioni di valore di un territorio sono le popolazioni residenti. I soggetti che vivono il paesaggio sono quelli che hanno tutto l’interesse affinché questo non si degradi, di conseguenza essi non possono essere esclusi dal processo di pianificazione (da intendersi come strumento per descrivere un territorio e indirizzarne le evoluzioni mediante prescrizioni concrete). Perciò ogni decisione che interessa la forma e il carattere del paesaggio deve essere presa tenendo presente le aspirazioni espresse dagli abitanti che lo costruiscono, facendo ricorso agli strumenti messi a disposizione dall’organizzazione democratica dei poteri.”
Qual è la relazione esistente tra suolo, territorio e storia? Ed i suoi fattori determinanti?
“ Il territorio è il prodotto del succedersi di diversi cicli di territorializzazione che sedimentano strutture (strade, città, trame agrarie, saperi ambientali, culture locali) di lunga durata. Ogni luogo si determina nei suoi caratteri identitari che non possono ripetersi nei territori limitrofi, perché la combinazione di fattori fisici, antropici, sociali e storici porta ad esiti diversificati, sia dal punto di vista culturale che da quello geografico. Il progetto di paesaggio deve essere in grado di indirizzare i processi di trasformazione del territorio, combinando sia la conservazione che l’innovazione, avendo cura che quest’ultima non stravolga il patrimonio identitario di quel luogo.
In tale prospettiva, se gli abitanti sono adeguatamente sensibilizzati sull’importanza di preservare la qualità paesaggistica potranno condividere e apprezzare un progetto di paesaggio, sia che esso si traduca in azione di salvaguardia, ma anche quando esso si concretizza in interventi di gestione e di governo, quando origina attività di valorizzazione o riqualificazione, addirittura quando è all’origine della costruzione di nuovi paesaggi. Per realizzare tutto questo, bisogna curare i processi di educazione affinché le popolazioni apprendano (e in molti casi ri-apprendano) a riconoscere l’unicità dei paesaggi, distinguendo e rifiutando gli interventi decontestualizzati, talvolta imposti attraverso decisioni indifferenti alla dimensione paesaggistica del loro abitare.”
Quali sono invece, secondo lei, i protagonisti fondamentali dei processi partecipativi di percezione e trasformazione del territorio?
“ È evidente che l’interpretazione e la gestione del paesaggio deve essere intesa come interazione multidisciplinare e sintesi dei vari saperi. L’attenzione al territorio – nel rispetto e nella valorizzazione delle differenze – consente di attingere ad esperienze e saperi per loro natura diversi, ma capaci di divenire complementari e di alimentarsi a vicenda. Sapere locale e sapere tecnico riproducono due sguardi e due linguaggi che si confrontano, due diversi modi di leggere, conoscere e interpretare il territorio.
Per riconciliare i saperi, è necessario iniziare ad elaborare nuove strategie di conoscenza e di progetto capaci non di produrre oggetti, ma di creare contesti e situazioni relazionali mediante i quali risvegliare il desiderio della cura e della partecipazione. Occorre rivalutare l’importanza della conoscenza sensibile rispetto al primato acquisito dalla conoscenza concettuale, reintegrando i linguaggi simbolici ed espressivi.”

Con la Legge Regionale n. 15 del 6 luglio 2011, intitolata “Istituzione degli Ecomusei della Puglia”, si è smosso realmente qualcosa anche in Puglia? In che termini?
“A partire dal 2007 la Regione Puglia – tramite l’assessorato all’Assetto del Territorio, coordinato dalla prof.ssa Angela Barbanente – ha avviato la redazione del nuovo Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR). [ http://paesaggio.regione.puglia.it/ ]. La redazione del nuovo piano – in attuazione della Convenzione Europea del Paesaggio e del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio – è tuttora in via di completamento e la sua elaborazione è curata da un comitato scientifico composto dai maggiori esperti del settore, coordinati dal prof. Alberto Magnaghi dell’Università di Firenze.
Il processo partecipativo che il PPTR ha inteso attivare non è la semplice registrazione di una “percezione” data, ma un processo di ricerca di decodificazione e ricostruzione di significati, attraverso l’apprendimento collettivo del paesaggio come “bene comune”, facendo interagire saperi esperti e saperi contestuali per il riconoscimento da parte dei diversi attori dei valori patrimoniali e per innescare patti per la cura e la valorizzazione del patrimonio.
In quest’ottica, il PPTR ha espresso un’attenzione particolare al coinvolgimento degli abitanti nei processi conoscitivi e decisionali riguardo al paesaggio regionale, che si è esplicato anche nella scelta e nella sperimentazione dei progetti integrati: ad esempio, con la redazione di Mappe di Comunità [ http://paesaggio.regione.puglia.it/index.php/partecipazione/le-mappe-di-comunita.html ] dove il processo di costruzione di queste particolari rappresentazioni identitarie ha potuto contare sulle azioni degli Ecomusei già avviate sul territorio (un’ampia raccolta delle esperienze portate avanti nell’ambito del progetto sperimentale SESA – Sistema Ecomuseale del Salento [ http://www.ecomuseipuglia.net/home.php ] – è contenuta nel libro appena edito da FrancoAngeli Editore dall’arch. Francesco Baratti).[ http://www.francoangeli.it/ricerca/Scheda_libro.aspx?id=20560 ].
La Legge Regionale n.15/2011 è l’esito più concreto di questa impostazione e riconosce agli Ecomusei un ruolo attivo per quanto concerne il governo del territorio, nel quale viene sempre più richiesto il parere della popolazione chiamata ad esprimersi sullo sviluppo futuro del territorio. In questo senso i metodi e le tecniche sviluppate dagli Ecomusei rappresentano un veicolo di investimento sociale, economico, ambientale e culturale.”
La nascita, attuazione ed il coordinamento di realtà ecomuseali ha richiesto, in alcuni casi specifici, anche il suo contributo e la sua esperienza. Può raccontarci qualche dettaglio? Queste esperienze, cosa hanno prodotto nel territorio?
“Ho “facilitato” diversi laboratori ecomuseali, cioè occasioni in cui i cittadini si incontrano per sviluppare una coscienza di luogo in rapporto al patrimonio materiale ed immateriale che le singole comunità hanno prodotto. Questi momenti di confronto hanno visto la partecipazione di associazioni civiche, liberi cittadini, bambini e anziani, professionisti e amministratori locali.
Nel caso di Neviano (Le), il quadro conoscitivo e propositivo sul patrimonio locale si è concluso perfino con la stesura di un Manifesto del Paesaggio, approvato dal locale Consiglio Comunale come riconoscimento del lavoro svolto dal laboratorio ecomuseale. Tale documento elenca i caratteri identitari di qualità del paesaggio (sia urbano che rurale) impegnando simbolicamente i cittadini e l’Amministrazione pubblica a fornire le indicazioni utili all’uso e alla corretta gestione del territorio.
Nel 2009, assieme al dott. Gianpaolo Pisconti (presidente dell’A.P.S. “Play your Place. Il luogo in gioco”) [ http://www.playourplace.it/archives/category/ecomuseo ] abbiamo vinto il bando di concorso “Principi Attivi – Giovani idee per una Puglia Migliore” indetto dalla Regione Puglia, con il progetto “Vox Loci. La parola agli abitanti” con il quale abbiamo attivato due laboratori ecomuseali a Galatone e a Tuglie, in provincia di Lecce.
A San Vito dei Normanni (Br) oltre ad aver facilitato il processo partecipativo della Mappa di Comunità, ho coordinato il laboratorio ecomuseale per la redazione dei C.A.U.A. – Consigli di Architettura, Urbanistica e Ambiente – schede pratiche elaborate coi depositari delle tecniche edilizie tradizionali che offrono un interessante spaccato sui caratteri costruttivi dei paesaggi rurali, ad uso e consumo dei professionisti, dei privati e del locale Ufficio Tecnico.
Le comunità coinvolte nelle esperienze ecomuseali recuperano la fiducia nelle proprie possibilità di avanzamento. Il percorso partecipativo serve a liberare energie e a stimolare l’attivismo negli abitanti, favorendo il dialogo e la collaborazione reciproca, risvegliando i cittadini da un torpore che, spesso, sembra fiaccare la capacità di immaginare un avvenire diverso.
Ogni partecipante si fa promotore verso gli altri di questa nuova consapevolezza, e lentamente si innescano volontà progettuali finora inaspettate.”

In che cosa consiste una Mappa di Comunità?
“Lo strumento fondamentale per i laboratori ecomuseali è rappresentato dalla Mappa di Comunità, vero e proprio atlante del patrimonio locale frutto di mesi di lavoro in cui si intrecciano esperienze e conoscenze portate sia da saperi esperti che da quelli contestuali. Questo tipo di mappa è assai diversa dalle carte topografiche: in quanto mappa sentimentale, essa trasmette la densità del valore dei luoghi piuttosto che la loro cruda rappresentazione tecnica.
Con questo strumento si cerca di cogliere il paesaggio come rappresentazione della storia dei luoghi, così come tramandata dalla memoria individuale e collettiva, sensibilizzando le comunità locali alla lettura dei valori del paesaggio e soprattutto a promuovere un “patto di comunità”, che impegni abitanti, operatori e istituzioni a prendersi cura del paesaggio.
Questo strumento costituisce un processo partecipativo che coinvolge gli abitanti, in un esercizio di auto-rappresentazione identitaria e di riconoscimento dei valori tipici del luogo che abitano. Le mappe si costruiscono infatti per fare in modo che la diversità di un territorio continui ad esistere.”
Infine, sempre un pensiero per la città cui questo giornale con dedizione “dà Voce”, Manduria … Come la descriverebbe, sinceramente?
“Piuttosto che descrivere Manduria (con il suo ricco bacino di valori patrimoniali conosciuti e potenzialità inespresse, tutte da connettere) mi piacerebbe concludere con un auspicio, che è anche un modo di porsi nei confronti del futuro. T. S. Eliot scriveva: “Non smetteremo di esplorare. E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta”. Con questa propensione alla ri-scoperta del paesaggio, credo, Manduria ma anche i paesi limitrofi potranno affrontare le sfide che il nostro tempo ci pone.”
Autore articolo: Loredana Ingrosso – l.ingrosso@lavocedimanduria.it
Fonte: “La Voce di Manduria”, 26 Gennaio 2013