Centri storici: maneggiare con cura

I centri storici possono (ri)nascere solo se produttivi, tramite gli immobili o le attività, ma dietro ci dev’essere un’attenta cabina di regia. Ecco un vademecum di marketing territoriale, tra buon senso e lungimiranza

Il nostro territorio nazionale è costellato di bellezze naturali e opere dell’uomo uniche al mondo. Proprio per la vastità di questo inestimabile patrimonio, la conservazione, la tutela e l’uso corretto, sono estremamente complessi oltre a essere notevolmente onerosi.
Fra i tesori nazionali ci sono i centri storici o città vecchie, quale caratteristica di moltissime comunità italiane. Testimonianza della storia, sono, spesso stati abbandonati, dalla seconda metà del ventesimo secolo, a favore di condizioni abitative o lavorative più pratiche e consone al progresso crescente.

Oggi si presentano come perle di un lungo filo spezzato e mai riparato, dove alcune sono ormai perse e altre giacciono senza il calore umano che ne conservi la bellezza.

Solo negli ultimi anni è nata una sensibilità sociale verso i centri storici che, però, si scontra con oggettive difficoltà. Una riflessione scaturisce dalle molteplici proposte per l’uso e la tutela delle città vecchie: non possono essere solo musei diffusi ma hanno bisogno di vita. Una vita parallela a quella vissuta nelle città moderne, dove le abitazioni siano occupate e le strade siano ferventi di piccole attività commerciali e artigianali.
Il turismo, essenziale e insostituibile, deve essere considerato un sistema pubblicitario, un produttore di reddito, un mezzo di diffusione delle culture.
In Italia e in Europa ci sono diversi modelli già attivi in questo senso ma, a volte, non sembrano perfettamente calibrati alle realtà locali, generando eccessi o carenze, che possono rivelarsi dannosi in termini di tutela del patrimonio e di costanza economica.

Quali potrebbero essere le reali soluzioni per il recupero prima e il successivo uso corretto dei centri storici?

Certamente la pianificazione. Quanto più precisa e calzante con la realtà. Piani di Recupero, Piani del Commercio, Piani del Turismo, Piani dell’Artigianato e delle Attività Produttive, Piani delle Energie, Piani delle Calamità, Piani degli Impianti, Piani delle Attività Ricettive e di Ristoro, Piani del Marketing, Piani della Cultura e degli Eventi. Singoli o contenuti in un unico documento programmatico. Questi utili strumenti, però, non devono essere prodotti come un aggregato di norme e limitazioni, tali da rendere improbabili e impraticabili le iniziative, ma quali utili manuali d’uso da ampliare in funzione delle esigenze e delle esperienze vissute in loco.

E’ evidente che tutto questo è strettamente relazionato a una favorevole contingenza economica. E’ impensabile intraprendere azioni così incisive senza una cospicua copertura finanziaria da ricercare nelle fonti di finanziamento pubblico e privato. E’ imprescindibile una forte volontà comune al cambiamento, che veda il coinvolgimento della buona politica e dell’impegno diretto dei cittadini, sinergicamente proiettati al progetto comune di ripresa, riscoperta e rinascita.

I territori da rivitalizzare devono imparare a valorizzare i propri caratteri intrinseci ridandone il giusto valore ed evitando di ricorrere a false copie di esotici ed estranei modi di vivere. Chi, ad esempio, visita il Trentino vuole conoscere le tradizioni, i costumi, i prodotti tipici, la cucina, il territorio di questa regione, così come per la Puglia o per il Veneto. Lo stesso vale per i centri storici.
Questa corretta politica di marketing territoriale oltre a restituire immediate risultanze turistiche, offre diversi vantaggi: si opera in settori ampiamente conosciuti, tradizionali e consolidati offrendo tipicità di livello qualitativo elevato; la possibilità di approvvigionarsi di prodotti locali a km 0, oltre a fortificare l’economia locale e l’adozione di materie tipiche, offre la notevole riduzione dei costi di movimentazione e di acquisto.

La rinascita delle piccole attività artigiane come, ad esempio, le botteghe del ferro battuto, dell’ebanisteria, della falegnameria, della pelle, dei finimenti e della selleria, della liuteria, delle ceramiche, del ricamo e dei pizzi e merletti, dell’abbigliamento e della sartoria, del souvenir specifico, insieme alla creazione di corsi per l’apprendimento dell’antico artigianato locale, diffusi anche con seminari webinar, affiancati alla musealizzazione diffusa delle botteghe a fini turistici, sono un’ottima opportunità di rilancio dei centri storici.

Le attività di ristoro e accoglienza devono essere quanto più calzanti con le realtà in cui sono insediate. Il turista, anche occasionale, deve essere accolto in un ambito cordiale e accogliente, preferendo, quindi, i B&B e la gestione familiare, affiancati o convenzionati con attività di ristoro. In tal senso sarebbe utile incentivare gli alberghi diffusi e i piccoli alberghi rispetto a quelli medi e grandi, già ampiamente presenti nei territori extraurbani.

I centri storici possono diventare percorsi del benessere per i turisti e nuove opportunità di lavoro per gli abitanti, riattivando, nello stesso tempo, la loro vita e rendendo continuativa la conservazione.

Tutto questo comporta, necessariamente, un’attenta cabina di regia. Sarebbe opportuno creare degli uffici ad acta, gestiti da specifiche competenze e dotati di parziale autonomia, anche se diretti da governance territoriali. Al fine di evitare errori che, in contesti così fragili, potrebbero essere irreversibili, gli operatori di tutti i settori dovrebbero essere formati specificamente.

Una soluzione favorevole alla rinascita dei centri storici potrebbe essere la costituzione di consorzi con un marchio comune per tutti i settori. Questo garantirebbe qualità, controllo ed eccellenza. Inoltre, la promozione di un solo marchio affiancato a quello dei singoli operatori, consentirebbe pubblicità e marketing più ampi e di alto livello qualitativo, abbattendone i costi.

Interventi così radicali, positivamente incidenti sul recupero del territorio e sull’economia locale, hanno bisogno di manovre di defiscalizzazione. Chi dovesse approcciarsi a qualsiasi impresa nell’ambito dei centri storici deve poter fruire di agevolazioni fiscali sia sugli immobili, sia sulla produzione del reddito. Diversamente sarebbe uno sforzo inutile e senza possibilità di successo. I centri storici possono rinascere solo se produttivi, tramite gli immobili o le attività, e l’unica forma di fiscalità possibile è quella finalizzata alla loro conservazione, gestione e crescita economica.

Autore articolo:  Paolo Bruni
Articolo pubblicato su: “Extra Magazine” 

“L’ultimo temporale”, il documentario

La civiltà irrompe nel mondo plasmando il paesaggio; l’uomo scrive la storia e così la subisce.

“L’ultimo temporale” è il racconto di un territorio in cui storia, cultura e paesaggio si sono intrecciati e stratificati nei secoli. Partendo dalla bellezza panteistica, passando attraverso le attività umane che ne modificano la visione, si approda a un mondo complesso dove l’uomo si misura costantemente con l’incedere, visibile, del tempo.

Tra le campagne del Salento il paesaggio naturale dialoga con quello antropico; corsi d’acqua e prati rocciosi disegnano il contorno, le torri costiere affacciate sul Mar Ionio, le rovine delle antiche città messapiche e i centri storici dei piccoli comuni diventano testimoni di una storia che ha forgiato e modellato la cultura dei luoghi.

Un racconto scandito da elementi etnografici che svelano una tensione costante tra uomo e universo: la domesticazione delle piante quale primo atto antropico, l’artigianato e l’evoluzione della tecnica; la struttura geologica del territorio e l’evoluzione delle sue architetture; l’iconografia dell’arte sacra e la festa religiosa col suo simbolismo mitico-rituale; il gioco visto come momento liberatorio e la tecnologia quale ultimo atto temporale.

Scorci di un paesaggio negato dai limiti della nostra civiltà tracciano una parabola che avvolge le nostre esistenze, dove la crisi della presenza si manifesta ciclicamente, ogni volta con una nuova risoluzione.

Un documentario diretto da Tommaso Faggiano con musiche di Enzo Fina, realizzato nell’ambito del progetto “Folk in Tour” a cura di Fluxus Cooperativa, finanziato dal SAC Arneo e Costa dei Ginepri e girato nei comuni di Arnesano, Avetrana, Carmiano, Campi Salentina, Copertino, Galatina, Galatone, Guagnano, Leverano, Manduria, Nardò, Porto Cesareo, Salice Salentino e Veglie.

Fonte: “Luoghi e visioni”

I Cavalieri di Malta: Gerarchia e Governo dell’Ordine

Parlare della gerarchia dei Cavalieri di Malta (detti anche OspitalieriCavalieri di S. Giovanni, Cavalieri Gerosolimitani, Cavalieri di Rodi, ecc.) è molto complesso, specie quando bisogna sottostare alle esigenze di stringatezza di un articolo o approfondimento online.

I migliori trattati sull’argomento sono stati scritti nei secoli scorsi, e potete trovarli nella bibliografia in calce all’articolo. Li ho utilizzati in maniera estensiva, cercando di ricostruire al meglio le cariche più complesse ed il funzionamento dell’Ordine.

L’Ordine dei Cavalieri Ospitalieri ebbe il riconoscimento papale nel 1113, ma operava a Gerusalemme già dalla fine della Prima Crociata. Nel 1291, in seguito alla conquista, da parte dei Mamelucchi, dell’ultima roccaforte cristiana in Terrasanta, S. Giovanni d’Acri (attuale Israele), i Cavalieri si rifugiarono a Cipro. Lì rimasero per qualche anno, cercando di capire dove ristabilire il loro governo. La scelta cadde su Rodi, che conquistarono nel 1309.

L’isola rimase in mano all’Ordine per oltre due secoli, durante i quali subirono tre grandi assedi da parte delle forze islamiche. Nel 1440 respinsero l’attacco dei Mamelucchi, nel 1480 riuscirono a sconfiggerele armate di Maometto II (il conquistatore di Costantinopoli), ma alla fine persero l’isola in seguito all’Assedio del 1522 voluto da Solimano il Magnifico. Dopo alcune traversie, i Cavalieri ottennero un nuovo possedimento da Carlo V: Malta. Fino al 1798, anno in cui l’ultimo Gran Maestro, Ferdinand von Hompesch, si arrese (senza combattere e grazie alla diserzione dei Cavalieri francesi) a Napoleone, l’Ordine difese Malta e il Mediterraneo dalle insidie ottomane. Del Grande Assedio del 1565, che rappresenta uno dei maggiori capolavori tattici nella storia degli assedi, ho parlato in un’apposita serie di articoli.

La lunga vita dell’Ordine, che continua ad esistere (in piena salute) come organizzazione caritatevole e di soccorso medico, è dovuta anche alla meticolosa organizzazione interna e alle capacità di governo dimostrate nel corso dei secoli.

Come ben specificato dal Manara e da altri autori, l’Ordine era, al tempo stesso, un’organizzazioneospedalierareligiosa e militare. Ed era governata da un monarca, il Gran Maestro, che esercitava le sue funzioni con il supporto di un’aristocrazia formata dai Cavalieri.

Il Gran Maestro era la massima carica dell’Ordine. Tutti i membri di quest’ultimo devono giurargli obbedienza. Il Gran Maestro però non era solo a capo dell’Ordine inteso come Ordine religioso, ma anche sovrano delle terre possedute dall’Ordine (ad es. Rodi e poi Malta) e delle popolazioni che le abitavano.

Prima di passare alle assemblee e consigli dell’Ordine, è necessario specificare quale fossero le sue ripartizioni interne, sia territoriali che personali.

L’Ordine era formato da Otto Lingue (ossia capitoli di provenienza), che dopo lo scisma anglicano diventano sette Lingue: Provenza, Alvergna, Francia, Italia, Aragona-Catalogna-Navarra, Castiglia e Portogallo, Alemagna, Inghilterra.

Ogni Lingua aveva una divisione interna differente e faceva capo a una carica suprema (chiamata anche colonna, Piliere, balio o bailo conventuale) che aveva compiti specifici nel governo dell’Ordine e dei suoi possedimenti. Il Cavaliere al vertice di ciascuna Lingua risiedeva nei possedimenti dell’Ordine (per gli ultimi due secoli e mezzo a Malta).

La Lingua di Provenza aveva 2 Priorati e 1 Baliato:

  • Priorato di San Giles (54 commende)
  • Priorato di Tolosa (35 commende)
  • Baliato di Manosque.

La dignità più alta era quella di Gran Commendatore. Egli governava Malta in assenza del Gran Maestro. Preposto alla custodia del tesoro comune dell’Ordine, controllava le finanze, sovrintendeva ai magazzini dell’arsenale e dell’artiglieria. Il Gran Commendatore era formalmente la prima carica dopo il Gran Maestro, poiché la lingua provenzale era quella del fondatore dell’Ordine, Gerardo (in realtà, il luogo di nascita di Gerardo è l’oggetto di una lunga disputa storiografica fra chi lo identifica in Provenza e chi, primo fra tutti Guglielmo di Tiro, in Campania, più precisamente ad Amalfi).

La Lingua di Alvergna (o Alvernia) 1 Priorato e 1 Baliato:

  • Priorato di Alvergna (48 commende);
  • Baliato di Lione

Il piliere di questa Lingua era il Gran Maresciallo. Questi aveva il comando militare dell’Ordine, ad eccezione delle Gran Croci, dei cappellani e di chi era direttamente alle dipendenze del Gran Maestro. In caso di assenza di quest’ultimo, comandava anche le truppe di Valletta. Consegnava il grande stendardo dell’Ordine al Cavaliere che giudicava meritevole di tale onere.  Aveva il diritto di nominare l’alfiere o e, nel caso di scontro navale, comandava non solo i comandanti di galea, ma anche lo stesso Gran Ammiraglio. In tempo di guerra era gerarchicamente sovraordinato al Gran Commendatore, mentre in tempo di pace avveniva il contrario.

La Lingua di Francia 4 Priorati e 1 Baliato:

  • Priorato di Francia (45 commende)
  • Priorato d’Aquitania (65 commende)
  • Priorato di Champagne (24 commende)
  • Priorato di Corbeil (che aveva il titolo di Grande Tesoreria)
  • Baliato della Morea (sede a S. Giovanni Laterano in Parigi)

La dignità più alta era quella di Gran Spedaliere (o Ospedaliere). A lui spettava la direzione di tutti gli ospedali (e soprattuto del grande Ospedale) e la cura dei poveri, la nomina del sovrintendente all’infermeria (un Cavaliere di Giustizia), del priore dell’infermieria e di dieci scrittori per il Consiglio.

La Lingua d’Italia 5 Priorati e 4 Baliati:

  • Priorato di Roma (19 commende)
  • Priorato di Lombardia (45 commende)
  • Priorato di Venezia (27 commende)
  • Priorato di Barletta e Capua (25 commende)
  • Priorato di Messina (12 commende)
  • Baliato di Sant’Eufemia
  • Baliato di Santo Stefano di Monopoli
  • Baliato della Trinità di Venosa
  • Baliato di San Giovanni di Napoli

La massima dignità era il Gran Ammiraglio. Presiedeva ai tribunali della marina e comandava le galere dell’Ordine. In caso di assenza del Gran Maresciallo, aveva il comando sia delle forze navali che di quelle di terra. Nominava il controllore (prud’homme), il segretario dell’arsenale (per vegliare sugli arsenali delle galere), e nominava i capitani di vascello.

La Lingua di Aragona, di Catalogna, di Navarra 3 Priorati e 2 Baliati:

  • Priorato di Aragona (29 commende)
  • Priorato di Catalogna (28 commende)
  • Priorato di Navarra (17 commende)
  • Baliato di Majorca
  • Baliato di Caspe (in Africa, in partibus infidelium)

La dignità più alta era quella di Drappiere o Gran Conservatore. Questi si occupava della manutenzione delle cose, delle vettovaglie e dell’abbigliamento di tutti i Cavalieri. Firmava inoltre i pagamenti dovuti alle truppe assoldate e controllava le argenterie dell’Ospedale.

La Lingua di Castiglia e Portogallo 2 Priorati e 2 Baliati:

  • Priorato di Castiglia e di Leon (27 commende)
  • Priorato di Portogallo o de Crajo (31 commende)
  • Baliato della Rovede
  • Baliato di Negroponte (in partibus infidelium)

Il Gran Cancelliere era la colonna di questa Lingua. Aveva il controllo della segreteria del Gran Maestro; firmava e apponeva il sigillo su tutti i documenti ufficiali.

La Lingua di Alemagna 1 Gran Priorato:

  • Gran Priorato di Haitersheim (67 commende!)

La colonna di questa Lingua era il Gran Balì, che governava il castello di S.Pietro e di tutte le fortezze, comprese quelle del Gozo (piccola isola di Malta).

La Lingua d’Inghilterra 3 Priorati:

  • Priorato di S. Giovanni di Londra
  • Priorato d’Irlanda
  • Priorato dell’Aquila (32 commende complessive)

La più alta dignità era rappresentata dal Turcopoliere. Generale di cavalleria e fanteria. Questa carica fu unita a quella del Gran Maestro dopo la soppressione della Lingua inglese.

Alla suddivisione geografia dell’Ordine si accompagnava una differenza gerarchica fra i suoi membri:CavalieriCappellani e Frasserventi.

Cavalieri erano i nobili che formavano l’aristocrazia dell’Ordine e ricoprivano tutte le cariche (dignità) più importanti. Diventare Cavaliere non era semplice, visto che bisognava provare un’antica nobiltà di lignaggio in linea paterna e materna. Alcuni Cavalieri con padre nobile e madre plebea riuscivano comunque a fare il loro ingresso nell’Ordine, ma solo dietro sostanziosi pagamenti (e in modo molto lento), una dispensa papale e l’assenso del Gran Maestro. Questi ultimi erano chiamati Cavalieri di Grazia, per distinguerli dai nobili purosangue, detti Cavalieri di Giustizia. Chiunque fosse nato fuori da un legittimo matrimonio, nobile o meno, non poteva entrare nell’Ordine.

L’indagine sul grado di nobiltà del candidato era condotta in modo diverso da ciascuna Lingua, con quella di Alemagna che si distingueva per la particolare scrupolosità. Le Lingue di Spagna e di Portogallo erano le meno rigorose, visto che chiedevano solo la prova di quattro parti, ossia di padre-madre-nonni paterni-nonni materni. L’ingresso in quella Italiana necessitava una nobiltà riconosciuta di almeno duecento anni, e l’unica eccezione poteva essere applicata ai candidati provenienti da stati retti dal popolo. Ad esempio, a Firenze non erano esclusi dal cavalierato i figli dei mercanti, purché appartenessero alle arti maggiori, fossero nati da matrimoni legittimi e provassero completa indipendenza e il possesso di una casa da oltre cinquant’anni. Una prescrizione dello stesso tenore valeva anche per Genova e altre città. Le tre Lingue Francesi consideravano nobili coloro in grado di provare un’ascendenza di sangue blu fino ai bisnonni, purché superasse i cento anni. Come anticipato, era la Lingua di Alemagna a richiedere le prove più consistenti. Per essere ammessi, era necessario identificare come nobili tutti gli avi fino ai trisnonni.

Una volta accettate le loro prove di nobiltà, che potevano essere sia orali che scritte, i candidati erano pronti a entrare nell’Ordine. Quelli che avevano compiuto sedici anni pagavano, in base all’ultima costituzione del Gran Maestro L’Isle Adam, un ingresso pari a 260 scudi d’oro (al cambio di 100 soldi per ogni scudo). I minori di sedici anni pagavano invece 333 pistole di Spagna.  Fino ai venti anni, i Cavalieri potevano evitare di recarsi nella sede principale dell’Ordine (es. Malta), ma dovevano risiedere tre anni presso il capo dell’Ordine e partecipare ad almeno tre carovane e campagne contro gli infedeli. Una legge, questa, per la quale non era possibile ricevere un’esenzione.

Anche la seconda categoria, quella dei Cappellani, doveva combattere con gli infedeli (e lo fece quasi sempre con la medesima abnegazione dei Cavalieri). Per le loro qualità militari, avevano anche il diritto di portare la spada sul fianco all’udienza del Papa. I Cappellani non provenivano dalla nobiltà; bastava infatti che fossero nati da un legittimo matrimonio e da genitori che non avessero mai fatto da servi o esercitato “alcuna vile arte meccanica”. Pur non essendo nobili, fra i Cappellani si sceglieva il priore della Chiesa di S.Giovanni (patrono dell’Ordine, chiamato anche Ordine di San Giovanni) e, molto spesso, il vescovo del principato, le sole persone che partecipavano al governo dell’Ordine scelte al di fuori dei Cavalieri.

Frasserventi non avevano cariche ed erano i “proletari” dell’Ordine. Avevano le mansioni più basse, ma talune entrate nelle casse dell’Ordine erano destinate a loro.

Alle tre categorie principali se ne aggiunse un’altra già durante la permanenza in Terrasanta, che crebbe a dismisura nel periodo maltese, quella degli Affigliati. Gli Affigliati avevano alcune divise dell’Ordine e un certo numero di benefici riconnessi al cavalierato anche se non potevano considerarsi Cavalieri. Il Capitolo Generale dell’Ordine consegnava la croce di S.Giovanni, simbolo dell’ingresso negli Affigliati, a persone che si erano distinte per l’aiuto fornito all’Ordine, per la particolare benevolenza o per la generosità delle azioni. Inizialmente la croce di S. Giovanni veniva distribuita con estrema cautela, mentre poi divenne quasi un’abitudine consegnarla ai membri più eminenti delle corti di Vienna, Pietroburgo, Berlino, ecc.

A seconda della carica ricoperta, i Cavalieri si distinguevano in quattro categorie:

  • Priori / Gran Priori
  • Balì
  • Commendatori
  • Semplici Cavalieri

I Priori e i Gran Priori erano al comando di un Priorato o di un Gran Priorato, che rappresentavano il primo livello nella suddivisione territoriale interna a ciascuna Lingua. Spesso le fonti utilizzano in modo sovrapponibile i termini “Priorato” e “Gran Priorato”, lasciando intendere che chiamarli nell’uno o nell’altro modo fosse indifferente.

Come primo livello esistevano anche i Baliati. Questi ultimi si differenziavano dai primi perché non avevano il secondo livello gerarchico, le cosiddette Commende. L’unica eccezione era rappresentata dal Baliato di Brandemburgo (Lingua di Alemagna), che arrivò a comprendere tredici commende.

Balì (a capo di un Baliato) di distinguevano a loro volta in tre categorie. I Balì Conventuali (Pilieri) erano otto, uno per ogni Lingua, e risiedevano nei domini temporali dell’Ordine, più precisamente nell’albergo di ciascuna Lingua. Venivano scelti fra i più anziani cavalieri della Lingua di appartenenza. Insieme componevano il Consiglio dell’Ordine, occupavano le cariche più rilevanti e comandavano l’Albergo, termine con cui si intendeva la residenza di ciascuna Lingua nei domini temporali. Ancora oggi, è possibile visitare gli Alberghi di tutte le Lingue a Malta.

La seconda categoria dei Balì, quella dei Capitolari, era formata dai Balì che non risiedevano a Malta, ma  vivevano nei loro baliati europei. Per il Capitolo Generale era necessaria la loro presenza nel luogo deputato o quella di loro procuratori.

La terza comprendeva invece di Balì ex gratia. Si trattava di quei cavalieri che avevano ricevuto la gran croce per grazia, decisione del Capitolo Generale o breve del Papa (Balì brevettati).

Tutti i Priori, i Gran Priori e i Balì portavano la Gran Croce dell’Ordine (in tela bianca sul lato sinistro).

Commendatori e i Semplici Cavalieri portavano invece la petite Croix, la Piccola Croce o crocetta. Ai primi era affidata l’amministrazione di una porzione dei beni dell’Ordine, la già menzionata Commenda. I secondi invece si sostentavano con mezzi propri o a spese della Lingua di appartenenza, ma non avevano incarichi amministrativi.

Tutte le Commende, i Baliati, i Priorati e i Gran Priorati dovevano versare una tassa, chiamataresponsione, nel tesoro comune dell’Ordine. Le altre somme riscosse da queste cariche andavano invece a loro beneficio (mantenimento della commenderia, spese personali, ecc.). Ovviamente, nel corso del tempo ci furono centinaia di casi di amministratori dell’Ordine che riscuotevano somme importanti, ma si rifiutavano di versarle al tesoro oppure ne versavano solo una parte.

Alcune commende erano poi più redditizie di altre, e per evitare un accumulo di benefici in capo a un solo soggetto, già Raimondo Berengario sancì che un Cavaliere potesse amministrare al massimo una commenda grande o due piccole.

Dunque, i Cavalieri occupavano tutte le dignità di rilievo dell’Ordine, ad eccezione del vescovato di Malta e del priorato della chiesa di S.Giovanni, che spettavano ai Cappellani.

Avendo esaminato le varie cariche e dignità, è ora possibile parlare delle altri consigli dell’Ordine.

Il Consiglio Ordinario (o Supremo) era composto almeno dal Gran Maestro e dagli otto (poi sette) Pilieri. Senza una di queste dignità non era possibile procedere. Vi avevano accesso anche il Vescovo di Malta e il Priore di San Giovanni e, in seguito, tutte le Gran Croci presenti a Malta e altre autorità dell’Ordine. Al Gran Maestro, qui quasi un primus inter pares, spettavano due voti. Il Consiglio di Ordinario era un organo di prima istanza per le controversie relative all’assegnazione di cariche, baliaggi, promozioni, commende, fino alla validità delle pensioni. Diventava però organo di appello rispetto alle decisioni dei capitoli provinciali.

Il Consiglio Compito (o Completo) aveva una composizione analoga a quello Ordinario, ma ciascuna Lingua aggiungeva due cavalieri anziani che risiedevano da almeno cinque anni  nel convento. Era a questo Consiglio che giungevano le appellazioni del Consiglio Ordinario e di quello Criminale.

Il Consiglio Criminale (o Segreto) agiva in caso di necessità per affari urgenti, in particolar modo in seguito al reato (o presunto tale) commesso da un Cavaliere. Era sempre presieduto dal Gran Maestro o dal Luogotenente.

Resta da sottolineare come questo approfondimento consenta di comprendere solo parzialmente l’organizzazione dei Cavalieri e, soprattutto, il loro rapporto con la popolazione di Rodi e, poi, di Malta. In entrambe le isole infatti, l’Ordine riuscì a farsi apprezzare dai locali, fino a rendere le sue fortune inscindibili da quelle dei civili che governava. In questo forse, sono di maggiore aiuto i resoconti dell’Assedio del 1565, dove i maltesi furono protagonisti, o l’apprezzamento verso i Cavalieri che, ancora oggi, dimostrano gli abitanti de La Valletta e della altre città dell’isola.

  • P. DEL ROSSO (trad.), Statuti della religione de’ cavalieri Gierosolimitani (1570);
  • A. MICALLEF, Lezioni su gli statuti del Sagr’Ordine Gerosolimitano: nell’Università degli Studi di Malta (1792);
  • G. M. ROMANO, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica da san Pietro sino ai nostri giorni(1844);
  • G. MANARA, Storia dell’Ordine di Malta ne’ suoi Gran Maestri e Cavalieri (1846);
  • L. DE CARO, Storia dei gran maestri e Cavalieri di Malta (1853).

Articolo pubblicato su “Zweilawyer”

“Antichemani”: progetto on-line di recupero del saper fare manuale

“Antichemani” è un nuovo canale YouTube dedicato agli antichi mestieri che si tramandano tecnica e maestria da una generazione all’altra.

L’obiettivo è quello di dare visibilità a lavorazioni artigianali che rappresentano un elemento importante del nostro madeinitaly, della nostra cultura. Ci sono botteghe artigiane che si trasmettono tecniche e sapienze del lavoro da 400 anni, testimonianza di quell’amore speciale per le cose fatte bene e con le proprie mani. Un Patrimonio da tutelare e da tramandare.
Molte botteghe hanno chiuso l’attività e molte rischiano di farlo per sempre, lasciando un vuoto di memoria e di opportunità.

La vocazione di questa iniziativa è di essere realizzata insieme: con l’appoggio di cittadini, di imprenditori, di associazioni, con una produzione “popolare”, aperta anche al contributo di conoscenza di chiunque voglia fornirci informazioni o segnalarci botteghe artigiane.

Il progetto “Antichemani” intende realizzare una Mediateca online, non solo per archiviare, ma sopratutto per valorizzare il bello e il buono del nostro territorio.

Perché in ciascuna di quelle botteghe c’è qualcosa di tutti noi.

I promotori di questa interessante ricerca sul campo, hanno contattato i referenti dell’Ecomuseo di Neviano (Le) che già da tempo raccoglie testimonianze di buone pratiche che rischiano di perdersi nell’oblio. Con molta probabilità, sarà registrato un breve documentario sull’antica tecnica di costruzione delle “volte leccesi”, ad opera di una famiglia di costruttori del luogo.

Sul canale YouTube dedicato sono già visibili i primi due video prodotti.

Un documentario racconta uno degli ultimi mugnai che ancora macina con la forza dell’acqua e con le macine in pietra. Il suo molino è in funzione dal 1696 .

L’altro video riguarda la stampa a ruggine realizzata con metodi tramandati da più generazioni e con un mangano del 1633, l’ultimo esistente in Europa.

Perché in Giappone i bambini vanno a scuola a piedi da soli

In Giappone, sui mezzi di trasporto si vedono spesso bambini che si spostano tra i vagoni, da soli o in piccoli gruppi, in cerca di un posto a sedere. Indossano calzettoni al ginocchio, scarpe di vernice e pullover a quadri, hanno cappelli a tesa larga legati sotto il mento e l’abbonamento della metropolitana attaccato allo zainetto. Bambini di sei o sette anni che vanno da casa a scuola, o viceversa, senza il controllo di un adulto.

In una famosa trasmissione televisiva intitolata Hajimete no otsukai (La mia prima commissione), si vedono bambini di due o tre anni che vengono mandati fuori casa per sbrigare delle commissioni per la famiglia. Mentre provano a raggiungere il fruttivendolo o il panettiere, i loro progressi sono filmati di nascosto da una troupe televisiva. La trasmissione va in onda da più di 25 anni.

Kaito, un dodicenne di Tokyo, da quando ha nove anni prende il treno da solo per andare da una casa all’altra dei suoi genitori, che hanno l’affido condiviso. “All’inizio ero un po’ preoccupato”, ammette, “mi chiedevo se sarei riuscito a prendere il treno da solo. Ma solo un po’”.

Adesso è facile, dice. Anche i suoi genitori all’inizio erano in apprensione, ma non hanno cambiato idea perché secondo loro il figlio era grande abbastanza e molti altri bambini lo facevano già senza correre alcun rischio.

“A dire il vero, all’epoca ricordo di aver pensato che i treni fossero sicuri, arrivavano in orario ed erano facili da prendere, e che lui è un bambino intelligente”, dice la nuova moglie del padre di Kaito. “Quando ho cominciato a prendere il treno da sola ero più piccola di lui”, ricorda la donna. “Ai miei tempi non avevamo il cellulare, ma riuscivo comunque ad andare dal punto A al punto B con il treno. Se si dovesse perdere può sempre chiamarci”.

Da cosa dipende questo insolito livello di indipendenza? In realtà non si tratta di autonomia, ma di “dipendenza dal gruppo”. È questa l’opinione di Dwayne Dixon, antropologo culturale che ha scritto la sua tesi di dottorato sui giovani giapponesi. “I bambini giapponesi imparano presto che, in teoria, ci si può rivolgere a qualsiasi persona della comunità per chiedere aiuto”, dice.

Questo presupposto è rafforzato a scuola, dove i bambini a turno puliscono e servono il pranzo. Così “la fatica è ripartita tra diverse persone e le aspettative ruotano, e al tempo stesso tutti quanti sanno, per esempio, cosa significa pulire un gabinetto”, afferma Dixon.

Assumendosi la responsabilità degli spazi condivisi, i bambini sviluppano l’orgoglio di esserne responsabili e capiscono in modo concreto quali sono le conseguenze se fanno disordine, poiché dovranno pulire da soli. Questa etica si estende in senso lato agli spazi pubblici (ecco perché le strade giapponesi di solito sono così pulite). Un bambino in giro per la città sa di poter contare sul gruppo in caso di emergenza.

Il Giappone ha un tasso di criminalità molto basso, e questo di sicuro contribuisce a spiegare perché i genitori si sentono tranquilli a mandare fuori casa i bambini da soli. Tuttavia, spazi urbani di dimensioni proporzionate e una propensione culturale agli spostamenti a piedi e con i mezzi pubblici sono anche fattori determinanti nel favorire la sicurezza e, cosa forse altrettanto importante, la percezione della sicurezza.

“Gli spazi pubblici sono decisamente migliori. Spazi a misura d’uomo, che contribuiscono anche a tenere sotto controllo il flusso e la velocità”, sottolinea Dixon. Nelle città giapponesi la gente è abituata ad andare a piedi e i trasporti pubblici hanno la meglio sulla cultura dell’automobile: a Tokyo la metà degli spostamenti avviene su rotaia o in autobus, un quarto a piedi. Gli automobilisti sono abituati a condividere la strada e a dare la precedenza a pedoni e ciclisti.

La nuova moglie del padre di Kaito dice che non permetterebbe mai a un bambino di nove anni di prendere da solo la metropolitana a Londra o New York, a Tokyo invece sì. Questo non significa che nella metropolitana di Tokyo non si corra alcun rischio. Il problema dei palpeggiamenti ai danni di donne e ragazzine, per esempio, dal 2000 ha contribuito all’introduzione di carrozze solo per donne su alcune tratte della metropolitana. Eppure molti bambini in città continuano a prendere la metro per andare a scuola e a sbrigare commissioni nel quartiere senza essere sorvegliati.

Dandogli questa libertà, i genitori ripongono una grande fiducia non solo nei figli, ma nell’intera comunità. “Tanti bambini in tutto il mondo sono autonomi”, osserva Dixon. “Ma secondo me la cosa che più affascina gli occidentali in Giappone è il senso di fiducia e cooperazione che esiste, spesso tacito e non richiesto”.

Autore articolo: Selena Hoy

Fonte: “Internazionale”

> Leggi l’articolo “Presentati alle Scuole i nuovi progetti educativi di “Play your Place”

> Leggi l’articolo “I progetti per le scuole di “Play your Place”: mobilità sostenibile, educazione ambientale, progettazione partecipata di spazi per i bambini, lettura partecipata del territorio”

> Leggi l’articolo “A piedi in città. La lezione dei nostri figli, che camminano più di noi”

> Leggi l’articolo “Pedibus. La città a piccoli passi”. L’articolo degli alunni di Sava (Ta) su “La Gazzetta del Mezzogiorno”

> Leggi l’articolo “Pedibus – A scuola un passo dopo l’altro”. L’articolo di School News di Galatone (Le)”

> Leggi l’articolo “Al via i pedibus nelle scuole primarie di Sava (Ta) e Galatone (Le), a cura di “Play your Place” di Maruggio”