Riscoprire l’Italia lungo vecchie strade dimenticate e ferrovie abbandonate

Riscoprire l’Italia lungo i binari delle vecchie ferrovie abbandonate. Attraversare il Paese percorrendo le antiche strade carrozzabili ormai in disuso. Assaporare le bellezze storiche, ambientali e culturali della nostra terra un passo alla volta, lentamente, oppure in sella a una bicicletta. Su percorsi ormai dimenticati.

Presto potrebbe partire un piano nazionale per la realizzazione di una rete di mobilità dolce. Un vero e proprio percorso alternativo su e giù per la Penisola, attraverso il riuso, il recupero e la valorizzazione delle infrastrutture dismesse e sottoutilizzate.

È un progetto a cui diverse associazioni lavorano da tempo – tra queste Legambiente, Italia Nostra e la Rete dei Cammini – che finalmente ha trovato ascolto in Parlamento. In questi giorni il testo unificato di una serie di proposte di legge in materia è all’esame di diverse commissioni di Montecitorio. Potenzialmente si parla di un cammino di quasi 10mila chilometri. Da Nord a Sud, isole comprese.

«Pensiamo alla tratta della via regia sulla Lunga via delle Dolomiti – cita la proposta a prima firma Luigi Famiglietti – alla tratta Avellino – Rocchetta Sant’Antonio, ai percorsi del Cilento e del Beneventano». Ma anche al tratto di ferrovia semi abbandonata Nulvi – Luras – Palau marina, compreso tra le province di Sassari e Olbia.

Percorsi paesaggisticamente e culturalmente incredibili. Con il grande vantaggio di non dover progettare nulla, semplicemente perché le infrastrutture esistono già. «Sarebbe sufficiente sottrarre al degrado e all’incuria migliaia di chilometri di ferrovie dismesse, strade abbandonate e sentieri dimenticati, da restituire alla loro originaria bellezza e al loro antico fascino», si legge nella relazione che accompagna la proposta di legge del grillino Mirko Busto.

Conseguenze inaspettate del progresso tecnologico. Negli ultimi anni le nuove esigenze in termini di mobilità hanno ridisegnato la cartina d’Italia. E così la motorizzazione su gomma ha reso economicamente meno vantaggiose molte ferrovie secondarie. Altre sono state sostituite da linee più rapide. E moderni collegamenti hanno reso inutilizzati vecchi tratti delle strade del XIX e XX secolo. Senza dimenticare altri percorsi «come i tratturi, le strade militari e le alzaie dei fiumi».

«L’insieme di questi percorsi – così la relazione della proposta di legge di Ermete Realacci – potrà costituire nel nostro Paese un primo nucleo della rete di mobilità dolce, quale infrastruttura per le forme di mobilità lenta finalizzate alla fruizione dell’ambiente e del paesaggio e all’attività ricreativa e turistica». Nulla di nuovo, in realtà. In altre parti del mondo questi progetti esistono già e riscuotono un grande successo. Realacci ricorda l’esperienza delle “Vìas Verdes” spagnole, «che ha portato al recupero, nello spazio di pochi anni, di oltre 1.000 chilometri di ferrovie dismesse». Mentre negli Stati Uniti l’associazione Rails to Trails ha aiutato alla valorizzazione di migliaia di chilometri delle antiche ferrovie del Nuovo Mondo.

Si potrà scoprire l’Italia a piedi, una tappa dopo l’altra, senza fretta. E magari in bicicletta, pedalando tra le bellezze nascoste della nostra terra. In altri Paesi è già una realtà. «La Germania vanta oltre 200 itinerari ciclabili ad uso turistico – si legge nel documento dei Cinque Stelle – per una rete di più di 70mila chilometri di piste ciclabili diffuse in tutto il territorio tedesco, lungo le quali si trovano circa 5mila strutture ricettive». In Olanda la rete per il turismo in bicicletta si snoda per un totale di 4.500 chilometri. «Non mancano gli itinerari che attraversano più Stati, come la celeberrima pista ciclabile del Danubio». D’estate i quasi 300 chilometri che collegano Passau a Vienna vengono percorsi da quasi 5mila cicloturisti al giorno, «con milioni di euro di fatturato». Forse è tempo che anche il nostro Paese si incammini su questa strada.

Autore articolo: Marco Sarti
Articolo pubblicato su “Linkiesta”

G.A.L. “Terre del Primitivo”: un bando per pacchetti turistici

Il G.A.L. “Terre del Primitivo”, comunica che si possono presentare le domande (scadenza 31 luglio 2017) di sostegno per la “Creazione nuove forme di cooperazione per sviluppo e/o commercializzazione servizi turistici”.

L’avviso ha l’obiettivo di selezionare proposte finalizzate alla progettazione e promozione di pacchetti turistici per valorizzare e diversificare l’offerta turistica specializzata tarata su un’analisi dei fabbisogni e delle esigenze delle aree rurali di riferimento, sostenere la destagionalizzazione e innalzare il livello quali/quantitativo dell’offerta turistica.
Inoltre ha come obiettivo la valorizzazione e la riscoperta in chiave multifunzionale e turistica di aree ricadenti nel territorio regionale, spesso al di fuori dei tradizionali circuiti vacanzieri e della stagione estiva.

Gli interventi ammissibili sono:

– Progettazione, realizzazione e promozione di pacchetti turistici “enogastronomici” con lo scopo di attuare una promozione turistica delle specifiche aree rurali che valorizzino anche i prodotti tipici della enogastronomia regionale;

– Progettazione, realizzazione e promozione di pacchetti turistici “slow travel” (turismo lento). Tali itinerari devono svilupparsi in ambito rurale e dovranno essere percorribili con mezzi di trasporto alternativi finalizzati alla valorizzazione del patrimonio naturalistico regionale, (es. promozione di pacchetti cicloturistici, pacchetti trekking, pacchetti turismo equestre o altro in forma anche combinata);

– Progettazione, realizzazione e promozione di pacchetti turistici “cultura e tradizioni” incentrati sui temi delle tradizioni locali e della cultura popolare, nonché del patrimonio archeologico e architettonico rurale.

Le tipologie di interventi sopra descritti possono anche essere combinati fra di loro.

Il soggetto beneficiario è il raggruppamento formato da almeno due microimprese. Le microimprese aderenti dovranno essere operatori del settore agricolo, della filiera alimentare nell’Unione, nonché di altri settori che contribuiscono alla realizzazione degli obiettivi dell’Operazione 16.3.2 e delle priorità della politica di sviluppo rurale.

Il G.A.L. “Terre del Primitivo” è disposto a fornire la propria assistenza tecnica in tutte le fasi della progettazione a tutti gli interessati e, a tal fine, terrà a breve un incontro presso la propria sede in Via L. Omodei, 28 a Manduria.

> Visita il sito del GAL “Terre del Primitivo” e scarica i documenti del bando

“La guerra dei cafoni”, una favola in una Puglia magica tra miseria e sogno

Un centinaio d’anni fa lo scrittore francese Louis Pergaud pubblicò un libro, “La guerra dei bottoni”, che avrebbe avuto una versione per lo schermo, seguìta da ben tre remake. Il soggetto era l’atavica rivalità tra i ragazzi di due villaggi di campagna, che si battevano cercando in ogni modo di umiliare l’avversario. Il tutto era narrato dal punto di vista dei ragazzi.

Vi si dev’essere ispirato il film dall’omofonico titolo “La guerra dei cafoni”, (tratto dal romanzo omonimo di Carlo D’Amicis) riambientandolo in un’estate degli anni ’70 nel villaggio salentino di Torrematta.
In assenza di personaggi adulti, si fronteggiano anche qui due piccole armate Brancaleone di minorenni. La novità è l’estrazione sociale opposta: da una parte i “cafoni”, figli dei poveri locali; dall’altra i “signori”, rampolli di famiglie benestanti. Il leader dei primi è Scaleno; comanda i secondi Francisco, detto Maligno, arrogante campione dei privilegi di casta. Mentre sboccia un amore tra Francisco e la “cafoncella” Mela, la rivalità prende una piega pericolosa con l’arrivo di Cugginu, “cafone” violento e refrattario ai tradizionali ruoli di classe.

Avvolto in un’aura mitologica nel prologo, il film cede poi il posto al realismo per tornare alla fiaba nel finale: dove compare Paquaremma, santo protettore dei cafoni. E qui scopriamo che “La guerra dei cafoni” è un insolito, quanto ingegnoso, esempio di “fakelore”, come si usa definire il folklore immaginario.

Fonte: “La Repubblica”

Una pellicola made in Puglia con attori giovanissimi, tutti under 18, che racconta la storia di due bande di ragazzini che combattono per la supremazia di Torrematta, un villaggio immaginario sulla costa salentina. “La fine dell’adolescenza diventa così il tramonto della lotta di classe” è scritto nella sinossi, “sancita da amori (forse) impossibili e dal bisogno di omologare tutto”.

Nella pellicola, le dinamiche di relazione tra ragazzi sono metafora di una lotta di classe messa in discussione grazie ad una storia d’amore. Il protagonista, il Maligno, a capo dei ragazzi privilegiati, inizia difatti ad avere dei dubbi nel suo odio di classe grazie all’incontro con una giovane “cafona”. Poetica e conflitto, si snodano così in un crescendo di consapevolezze.

Girato tra la riserva naturale delle Cesine, Torre Guaceto e i promontori che sovrastano Porto Badisco e Santa Cesarea Terme. Prodotto da Microcinema e Rai, con il sostegno del Ministero delle Arti e dei Beni Culturali e dell’Apulia Film Commission.

Fonte: “Lecce Sette”

La magica notte di San Giovanni, tra falò, erbe e fiori propiziatori

Il 24 Giugno si festeggia la natività di san Giovanni Battista, al quale sono legati ben tre primati: è l’unico Santo di cui si celebra la nascita (e non il martirio o la traslazione delle reliquie); è il Santo più rappresentato della storia dell’arte (lo vediamo anche fanciullo, soprattutto nel Quattrocento italiano); è il santo a cui si ispirò Guido d’Arezzo per il nome delle note musicali (UT queant laxis – REsonare fibris – MIra gestorum – FAmuli tuorum – SOLve polluti – LAbii reatum – Sancte Johannes).

L’eccezionalità della figura del Battista risiede nel ruolo centrale assegnato al Santo nella dottrina cristiana: San Giovanni – precursore dell’avvento di Cristo –  costituisce infatti la connessione tra Antico e Nuovo Testamento, essendo l’ultimo dei profeti e il primo Santo del Vangelo. È comprensibile quindi che la celebrazione della natività del Battista abbia un’importanza speciale nel calendario medievale.

La tradizione di festeggiare la natività di san Giovanni Battista è infatti molto antica (ne dà notizia sant’Agostino già nel IV secolo) ed è il tipico esempio di come si siano intrecciati e mescolati riti romani, celtici e cristiani.

Nell’antica Roma i giorni immediatamente seguenti al solstizio d’estate corrispondevano alle feste in onore della Dea Fortuna: in quest’occasione le persone più umili e indigenti si recavano al tempio dedicato alla Dea per offrire sacrifici e trascorrevano il resto della giornata in banchetti intorno al tempio. Una consuetudine che, anche dopo molti secoli, avrebbe contribuito a fare delle celebrazioni di san Giovanni una festa di carattere popolare.

La notte di S. Giovanni – il 24 Giugno – rientra nelle celebrazioni solstiziali, durante le quali secondo un’antica credenza il sole (fuoco) si sposa con la luna (acqua): da qui i riti e gli usi dei falò e della rugiada, presenti nella tradizione contadina e popolare. Non a caso gli attributi di S. Giovanni sono il fuoco e l’acqua, con cui battezzava: una comoda associazione, da parte del cristianesimo, per sovrapporsi alle antiche celebrazioni.

Così nel corso del tempo, c’è stato un mischiarsi di tradizioni antiche, pagane, e ritualità cristiana, che dettero origine a credenze e riti in uso ancora oggi e ritrovabili perlopiù nelle aree rurali.

Nella notte del 24 Giugno era una festa di purificazione in cui si dava fuoco alle stoppie secche. Questi falò avevano il preciso compito di allontanare gli spiriti maligni, illuminare le tenebre ed infondere energie positive in coloro che praticavano danze e canti propiziatori intorno alle lingue di fuoco che, quasi con fare ipnotico, levitavano verso il cielo.

I contadini si posizionavano principalmente su dossi o in cima alle colline, e accendevano grandi falò in onore del sole, per propiziarsene la benevolenza e rallentarne idealmente la discesa; spesso con le fiamme di questi falò venivano incendiate delle ruote di fascine, che venivano fatte precipitare lungo i pendii, accompagnate da grida e canti.

I falò avevano una funzione purificatrice: per questo vi si gettavano dentro cose vecchie o marce, perchè il fumo che ne scaturiva tenesse lontani spiriti maligni e le streghe (si riteneva che in questa notte le streghe si riunissero e scorrazzassero per le campagne, alla ricerca di erbe).

Nella tradizione popolare, San Giovanni era venerato come taumaturgo capace di guarire qualsiasi male. Era a Lui che il popolo si rivolgeva per scongiurare il pericolo dei temporali che incutevano sempre grande paura per i danni che potevano arrecare ai raccolti e alle persone.

Un’usanza molto diffusa era anche quella della raccolta delle erbe di San Giovanni, le quali acquistano proprietà magiche, benedette dalla rugiada del santo e dagli influssi astrali. Il potere alle piante veniva trasmesso dalla rugiada, ragion per cui bisognava attendere che questa si depositasse sulle foglioline prima di poterle raccogliere.

Queste si raccoglievano, appunto, nella notte fra il 23 e il 24 Giugno, si mettevano in un bacile colmo d’acqua e lo si lasciava fuori casa per tutta la notte.

Il mattino seguente ci si sciacquava viso e occhi per lavare via ogni negatività. L’acqua aveva il potere di aumentare la bellezza, preservare dalle malattie ma nello stesso tempo difendere dal malocchio, l’invidia e le fatture, soprattutto quelle pronunciate contro i bambini.

Tra le erbe utilizzate per la preparazione della cosiddetta “acqua di San Giovanni” possiamo menzionare:

− l’iperico dai fiori gialli, da tenersi sul corpo tutta la notte per proteggere dalle sventure, e garantire sonni sereni, o fuori dalle porte per proteggere le famiglie;
− l’artemisia contro il malocchio;
− la ruta per le proprietà curative, e come scaccia diavoli, data la sua forma a croce;
− la menta bagnata dalla rugiada a garanzia della lunga vita;
− la salvia a proteggere dalle creature malvagie;
− la verbena simbolo di pace e prosperità; cara alle streghe, era in grado di guarire dalle malattie;
− il ribes i cui frutti rossi sono chiamati anche bacche di San Giovanni;
− la vinca, utilizzata anch’essa per la preparazione di talismani vegetali;
− la mandragora, una delle piante più pericolose, con la doppia facoltà di sedare ed eccitare data la sua essenza ambivalente, maschio e femmina; molto cara alle streghe, la usavano per preparare narcotici e filtri d’amore;
− il rosmarino che, appeso con iperico e ruta alle porte delle case, teneva lontani diavoli e streghe;
− l’aglio, potentissimo talismano, se raccolto prima del sorgere del sole era particolarmente forte contro la stregoneria;
− l’artemisia, preservava dai fulmini ed era amuleto protettivo contro il malocchio;
− la lavanda, riposta a mazzetti nei cassetti e negli armadi, proteggeva la biancheria e per estensione anche tutta la famiglia;
− la felce, donava capacità divinatorie, forze soprannaturali e sapienza (secondo le credenze il suo fiore si schiude solo la Notte di San Giovanni, resta visibile per un attimo e può essere raccolto solo dopo aver lottato con il diavolo);
− l’erba carlina, che serviva ad impedire il passo malefico della strega; se inchiodata alla porta di casa infatti, costringeva la strega a contarne con esattezza tutti i capolini.

Sabato 24 Giugno: “Pizzica&Frise”, la festa nella Parrocchia di Campomarino di Maruggio (Ta)

Il piatto più tipico della stagione estiva incontra il ballo locale più tradizionale: da questo incontro nasce la serata “Pizzica&Frise”, organizzata dalla “Pro Loco Maruggio” e dalla Parrocchia “Maria SS. Assunta” di  Campomarino di Maruggio (Ta).

Non è la prima volta che i soci della “Pro Loco” incontrano e collaborano con Don Angelo Micocci: è già successo in occasione della pettolata svoltasi lo scorso Dicembre.

Il prossimo Sabato 24 Giugno – dopo la Santa Messa delle 19.00 – davanti allo spazio antistante la Chiesa di Campomarino saluteremo l’arrivo dell’estate gustando le gustose friselle sapientemente condite, ascoltando la musica del gruppo folk locale “Aria di Casa Nostra” e ballando la travolgente “pizzica” salentina.

Vi aspettiamo numerosi!!