Turismo delle radici: viaggiare tra nostalgia e curiosità

L’Italia è sempre stata, e in parte continua a esserlo ancora oggi, un Paese di emigranti, di persone che si sono trasferite all’estero in cerca di fortuna o di nuove occasioni lavorative. Ma l’Italia è anche un Paese di persone che hanno la tendenza a tornare nella terra delle radici appena possibile, spinte da un’incalzante nostalgia mista a una buona dose di curiosità.

Partire o viaggiare alla ricerca e alla scoperta delle proprie radici: è questa la possibile definizione da attribuire a una recente tendenza turistica che prende il nome di turismo delle radici. Già ampiamente consolidata negli Usa, in Scozia, in Irlanda, in Brasile e in Argentina, inizia a diffondersi a poco a poco anche in Italia, contribuendo a valorizzare risorse e piccoli gioielli nascosti. Il principio è quello che guida ad esempio il protagonista del film Ogni cosa illuminata, Elijah Wood, che ripercorre il cammino compiuto da un nonno ucraino di cui sono rimaste solo poche fotografie sbiadite. O da un leggendario zio americano mai conosciuto in vita, o da un lontano parente tornato a vivere in quel paesino dell’entroterra in cui la maggior parte degli abitanti ha lo stesso cognome. E, seguendo questa logica, si porta avanti la ricerca fino a scoprire e a rintracciare le proprie origini e la propria discendenza.

Sono i figli, ma più spesso i nipoti e i pronipoti, di emigrati italiani nei vari continenti che hanno tra le loro aspirazioni quella di conoscere e visitare i luoghi di provenienza dei loro padri, nonni e bisnonni. Ed ecco allora che il desiderio di ricerca storica e culturale si miscela alla voglia di riscoprire origini lontane e all’emozione di ritrovare un senso di appartenenza ormai perduto.

Una ricerca condotta dal Ciset, centro studi sul turismo dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ci aiuta a comprendere meglio questo comparto turistico in crescita del ritorno a casa, anche solo per una breve vacanza, delle seconde e terze generazioni di quelli che un tempo sono stati gli emigranti italiani:“In principio è stato un movimento spontaneo, l’istinto insopprimibile di tornare a casa – anche se solo per una breve vacanza – per gli emigranti o di visitare la patria mai conosciuta per le seconde e terze generazioni”.

“Il turismo delle radici o di ritorno identifica quel turismo generato dai migranti e dai loro discendenti che si recano in vacanza nel paese di origine spesso dopo esserne stati lontano per lungo tempo. Il viaggio e il relativo soggiorno nella terra natale costituiscono un’esperienza ad alto contenuto emotivodato che rappresentano l’occasione per rivedere i propri cari e soprattutto ritrovare i luoghi che hanno segnato la propria vita prima di partire; oppure, nel caso dei discendenti, soprattutto di coloro che hanno perso in parte i legami con la terra di origine, il viaggio è strumentale alla ricerca delle proprie radici e della scoperta dei luoghi in cui hanno vissuto i propri avi” hanno spiegato i ricercatori Ciset, Erica Mingotto e Damiano De Marchi.

E non mancano esempi, come riportato dallo stesso studio, di celebrità che hanno sposato e adottato questa pratica turistica: da Lady Gaga a Madonna, da Bill De Blasio a Francis Ford Coppola, da Robert De Niro a Martin Scorsese. Ed è bello verificare come le mete di queste numerose esperienze di viaggio siano quei piccoli paesi e borghi sperduti che impreziosiscono l’Italia, confermando come gran parte del nostro patrimonio culturale e artistico sia legato anche a vecchi palazzi e residenze nobiliari, a piccole chiese di campagna, a viuzze e vicoletti di un centro storico medievale e a tutte quelle destinazioni lontane dalle rotte del turismo di massa. Un insieme di usanze, folclore, rituali e tradizioni locali che, se valorizzati a dovere, contribuiscono alla necessaria riqualificazione di determinati territori.

Ritrovare allora le proprie radici potrebbe significare ritrovare le innumerevoli ricchezze e bellezze di un Paese a cui sentiamo di appartenere e verso il quale ci riporta quell’incalzante nostalgia mista a una buona dose di curiosità.

Autore articolo: Emanuela Faiazza

Una domenica sulle tracce del tristemente famoso “Campo della fame” di Taranto

Come ogni domenica mattina, ci ritroviamo al bar per un caffè e per organizzarci con le auto per la nostra escursione. La nostra meta non è lontana, la periferia di Taranto, vicino al quartiere Paolo VI .

La scelta del luogo non è casuale: nel “Giorno della memoria”, gli organizzatori (l’A.S.D. “Terra Nostra” di Sava (Ta), l’A.P.S. “Play your Place Il luogo in gioco”di Maruggio (Ta) e l’Archeoclub di Carosino e dei territori del Mesochorum) hanno pensato bene a farci conoscere un posto dove è stata scritta una pagina della nostra storia recente.
Nel campo S. (o di S.Andrea), alla fine della seconda guerra mondiale, vennero nuovamente “imprigionati” migliaia di reduci dagli inglesi, che sostavano in quel campo, tra fame stenti e freddo, in attesa di poter finalmente tornare a casa.

Angelo Campo e Aldo Summa (storici ed esperti conoscitori del nostro territorio) hanno raccolto tante testimonianze documentate riguardanti quel periodo. Abbiamo anche appreso la generosità dei tarantini nell’aiutare quei poveri soldati. Ci siamo commossi ed emozionati nell’apprendere questa triste storia che tanti di noi non conoscevano.

Dopo la consueta “pausa pranzo”, e ripresa la nostra camminata, verso quel che resta dell’antica Masseria Caselle: solo ruderi, purtroppo pero’ ci fanno capire la sua maestosa imponenza, in un territorio brullo, una macchia mediterranea rada e pietrosa, con qua e là qualche pezzo di terra coltivata.

La nostra escursione finisce, lasciandoci dentro nuove emozioni, perchè è bene ricordare ciò che hanno vissuto i nostri “non” lontani parenti, per poter apprezzare al meglio quel che noi fortunati abbiamo adesso.

Autore articolo: Maria Soloperto

Domenica 28 Gennaio: escursione al “Campo della fame” di Taranto… sulle strade della memoria

Il 27 Gennaio è internazionalmente riconosciuto come il Giorno della Memoria, a perenne ricordo di quell’abisso morale in cui precipitò l’umanità durante la Seconda Guerra Mondiale: lo sterminio di milioni di ebrei, dissidenti, disabili, omosessuali, nomadi.

In questa data commemoriamo tutte quelle vittime innocenti che ebbero la sola colpa di appartenere ad una razza, una religione, un orientamento politico, un’inclinazione sessuale diversi, e che per questo furono prima reclusi, poi sfruttati e affamati, infine eliminati dalla spietatezza nazi-fascista.

La privazione della vita e della libertà è il prezzo più alto che hanno pagato questi ed altri milioni di uomini e donne sparsi per l’Europa.

Forse non tutti sanno che anche a Taranto esisteva un campo in cui vennero internati i prigionieri di guerra Italiani: il “Campo S”, o “Campo S. Andrea”, gestito dagli Inglesi. Venne allestito al termine della guerra per accogliervi i prigionieri italiani precedentemente ospitati nei vari campi di prigionia sparsi per le colonie britanniche e nel nord Africa, in attesa del disbrigo delle necessarie pratiche per poi essere rimessi in libertà. In attesa di questi intoppi  burocratici, essi videro prolungata le propria prigionia ben oltre il termine del conflitto…

Anche se questi prigionieri erano tutelati dalle convenzioni internazionali (e, quindi, non si può paragonare la loro detenzione con l’orrore dei lager), il campo divenne tristemente famoso per le condizioni estreme cui vennero sottoposti migliaia di uomini. Per questo venne denominato “campo della fame”.

Il campo si trovava (e ancora oggi si trovano evidenti tracce) a nord del Mar Piccolo, poco distante dall’attuale quartiere Paolo VI, nei pressi dell’attuale centro commerciale “Ipercoop”.

Sembra strano: in quella zona transitano ogni giorno centinaia di persone, eppure del “Campo S” e delle tristi storie che qui si consumarono nell’attesa dell’agognato ritorno alle proprie case, si è persa la memoria. Pochissimi sono a conoscenza di questo luogo, divenuto suo malgrado un simbolo della crudeltà della guerra.

Per non dimenticare anche le sofferenze che patirono i nostri soldati, per nobilitare i gesti di solidarietà che pure tanti tarantini seppero offrire a quegli internati e per cercare di sensibilizzare la generazione contemporanea a riscoprire un luogo che – volente o nolente – appartiene alla nostra Storia, l’A.S.D. “Terra Nostra” di Sava (Ta), l’A.P.S. “Play your Place Il luogo in gioco”di Maruggio (Ta) e l’Archeoclub di Carosino e dei territori del Mesochorum organizzano per Domenica 28 Gennaio 2018 un’escursione sulla “strada della memoria” proprio al “Campo S” di Taranto.

Per una volta, la camminata non sarà destinata alla scoperta delle bellezze paesaggistiche del nostro territorio, alle chiese, alle masserie, ai trulli o ai manufatti della civiltà contadina, né ai suggestivi contesti delle gravine o delle dune costiere. Per una volta la passeggiata sarà con noi stessi. Per riflettere, e scongiurare che simili tragedie accadano ancora, vicino o lontano da noi.

L’appuntamento in Taranto è previsto per le ore 9.00 al parcheggio dell’Ipercoop, lato “Maison du Monde”. La partenza per l’escursione è invece prevista alle ore 9.15, e il percorso corre in parte su strade sterrate, in parte in campo libero.

Da portare con sè: abbigliamento tecnico con scarpe da trekking, pranzo a sacco, kway, bastoncini, torcia e macchina fotografica.

Per info:
Piero 338.9840265
Aldo Summa 349.1971486
Angelo Campo 392.9167982

“Lento all’ira”: presentazione del libro di Alessandro Romano, il 2 Febbraio presso la Biblioteca Comunale di Maruggio (Ta)

Venerdì 2 Febbraio 2018 alle ore 18.30 presso la Biblioteca Comunale di Maruggio (Ta) sarà presentato il libro “Lento all’ira” di Alessandro Romano (Edizioni Esperidi).
Introduce l’incontro e dialoga con l’autore, Aldo Summa.

Alessandro Romano è un amico di Maruggio: regista e operatore dell’emittente televisiva “TeleRama”, ha realizzato numerosi video promozionali sul nostro territorio, andati in onda nelle rubriche “Salento d’Amare” e “Terre dei due Mari”. L’amore per il foto-racconto lo porta a divulgare il Salento – ma non solo – nel suo sito web www.salentoacolory.it. Quello che sarà presentato nel corso della serata è il suo secondo romanzo dopo “L’alba del difensore degli uomini”.

La storia è ambientata nel Salento della seconda metà dell’Ottocento, ed ha come protagonista il giovane archeologo Leonida Karydis che – giunto dalla Grecia per scoprire l’antica civiltà messapica – si imbatte in Donato Zappo e nella sua avvincente storia di uomo semplice e speciale. Insieme al suo amico salentino, Leonida conoscerà sia luoghi meravigliosi scaldati dal sole e dalla genuinità delle persone, ma anche drammatiche vicende in cui il bene pare soccombere al male. Quando tutto sembra finire, il ritrovamento di un vecchio diario porterà l’archeologo ad una nuova scoperta: il vero mondo di Donato Zappo e la sua vita vissuta al confine tra la verità e l’incredibile.

L’evento è a cura dell’A.P.S. “Play your Place”, con il patrocinio del Comune di Maruggio.

“Facies Passionis”: le statue pugliesi della Passione, in mostra al Carmine di Taranto

Dieci statue scelte tra le più significative delle processioni della Settimana Santa in Puglia saranno esposte a Taranto nella mostra «Facies Passionis», i volti della Passione, che si terrà dal 1° al 4 febbraio prossimi nella chiesa del Carmine su iniziativa dell’omonima arciconfraternita tarantina e la collaborazione dell’Arcidiocesi e del Comune.

Le statue giungeranno a Taranto alla vigilia dell’inaugurazione e saranno posizionate in un percorso guidato che sara allestito appositamente nella chiesa del Carmine che, per l’occasione, verrà temporaneamente chiusa alle attività di culto.

La mostra – accesso gratuito dalle 9 alle 22 – vede la partecipazione delle confraternite di Bitonto, Molfetta, Valenzano, Bari, Noci, San Severo, Manduria, Mottola e Taranto. Le statue sono quelle della processione dei Misteri del Venerdì Santo e rappresentano i momenti della Passione di Gesù: l’orto degli ulivi, il calvario, la crocifissione, il sepolcro.

Realizzate prevalentemente in cartapesta, risalgono in molti casi al 1700, 1800 e primi del ‘900 e portano la firma di artisti come Giuseppe Manzo, Salvatore Sacquegna, Gregorio Palmieri e Antonio Maccagnani. Il Gesù Morto di Bitonto, per esempio, è la prima volta che viene portato in un’altra località.

La mostra è stata presentata ieri in una conferenza stampa a Taranto dai priori Antonello Papalia dell’arciconfraternita del Carmine di Taranto, Luigi Sebastiano Lauta dell’arciconfraternita di Santa Maria del Suffragio e del Purgatorio di Bitonto e dal commissario arcivescovile dell’arciconfraternita del Rosario di San Severo Francesco Lozupone. Presenti anche mons. Marco Gerardo, padre spirituale del Carmine, e mons. Emanuele Ferro, portavoce dell’arcivescovo di Taranto, Filippo Santoro. All’inaugurazione dell’1, alle 18.30, parteciperanno anche alcuni vescovi delle Diocesi interessate.

I rappresentanti delle confraternite intervenuti hanno dichiarato che “nella mostra “Facies Passionis” di Taranto ci sono molte motivazioni. Anzitutto, la riaffermazione della pietà popolare come pratica devozionale e religiosa delle comunità. Le processioni, le statue, i simboli, non solo come manifestazione pubblica di fede, ma come espressione di una storia, di un vissuto, di una cultura che ancora oggi, a distanza di molti anni, è in grado di parlare al cuore e all’anima di tante persone. L’esposizione – è stato affermato nella conferenza stampa – è una testimonianza di fede resa attraverso le processioni della Settimana Santa, mostra un qualcosa di profondo da parte di città e paesi interessati, ma è anche un elogio e un riconoscimento alla capacità artistica e realizzativa di scultori e cartapestai che hanno raffigurato i volti di Cristo. Intendiamo quindi preservare un patrimonio importante – è stato evidenziato – ma anche saperlo trasmettere nei suoi valori forti. Fare in modo che ci sia continuità, che sempre più persone si avvicinino a questo patrimonio, lo apprezzino, lo rispettino, e valorizzare non le esteriorità ma i suoi contenuti autentici. Quest’obiettivo, partendo dalla mostra, vogliamo condividerlo e farne priorità condivisa. “Facies Passionis” – si è sottolineato – vuole raccontare quel grande momento che è la Settimana Santa e farlo attraverso le confraternite di Puglia, le loro statue, i loro vissuti, i loro protagonisti. Un viaggio in un pezzo di storia della nostra regione con l’obiettivo di evidenziarla nei suoi aspetti salienti”.

Articolo pubblicato su “La Gazzetta del Mezzogiorno”