“Io non so cosa significhi vivere sulla propria pelle le privazioni di una guerra: la fame, i bombardamenti, la morte dei tanti a cui vuoi bene. E non conosco, perché non l’ho vissuta, una dittatura. Non so cosa significhi vivere in un Paese che da un giorno all’altro, vara leggi razziali, in grado di modificare e stravolgere la vita quotidiana”. Un pensiero che accomuna tutti noi, immuni alla precarietà di una vita vissuta nella paura, nel terrore, nel tormento di giorni senza fine e notti senza sonno. Noi che siamo sempre più immersi nel presente, che dimentichiamo con più facilità perché il nostro mondo, quello tecnologico, virtuale, sembra girare più veloce e voltare pagina diventa semplice come un click.
Alberto Angela, paleontologo, scrittore e divulgatore scientifico ha espresso con semplicità e con una prepotenza emotiva disarmante, questo pensiero che unisce tutti con un filo invisibile. Lo ha pubblicato sui social, per presentare la puntata di Ulisse, in onda l’11 ottobre sulla Rai, che avrebbe trattato il drammatico tema della deportazione e dell’Olocausto. Il suo post ha colpito i tantissimi spettatori, tra cui davvero molti giovani. Eccolo, il filo. Il motivo, quello che abbiamo sentito dentro come un pugno: noi non c’eravamo, non abbiamo assistito all’orrore, non abbiamo subito la separazione forzata dai nostri cari, non sappiamo cosa significhi vedere un figlio deportato e ammazzato. Noi non c’eravamo. E proprio per questo, abbiamo una grande responsabilità: la memoria.
“C’è sempre il rischio che i volti bui della Storia riappaiano” scrive lo scienziato.
Penso a come possiamo difenderci dall’oblio, a come possiamo spiegare ai nostri ragazzi, figli e alunni, quanto può essere feroce il passato e che si ha l’obbligo di non permettere che riaccada mai più. Mai più. Non esiste altro modo se non la conoscenza. “L’unico modo per evitare è conoscere la Storia, raccontarla. Perché con l’alternarsi delle generazioni, tutto viene stemperato e gradualmente dimenticato. Rimane solo nei libri, ma non basta”. No, non basta. Le pagine dei libri sono utili, ma, spesso, per i più giovani, sono solo parole sterili. La Storia non va solo insegnata, deve essere trasmessa alle nuove generazioni attraverso i racconti dei testimoni, video, immagini, raffigurazioni, perché occorre vivere emotivamente gli eventi per avvicinarsi ed essi e comprenderli nel profondo.
Storia è scritto volutamente con la lettera maiuscola nel post, perché qui non è più solo un sostantivo; diventa un’accezione più elevata, un concetto, un mondo e un luogo talmente grande da non riuscire ad essere contenuto in una semplice parola. L’uomo privo di storia perde la sua dimensione umana: non si può vivere sempre nel qui ed ora, nel tempo presente, nell’immediatezza, nella frangibilità dell’attimo che fugge. Non siamo esseri mono-dimensionali: il nostro essere persone, cittadini del mondo, affonda le radici in ciò che siamo stati e in tutto ciò che è stato prima di noi. Cosa saremmo senza passato? E senza ricordi? Ci avete mai pensato? Come sarebbe vivere una vita senza la nostra storia personale o familiare? Sicuramente, molti ricordi dolorosi li cancelleremmo volentieri. Eppure, ogni stortura, ogni inciampo, ogni caduta ci riporta a quello che siamo, ci riporta alla nostra essenza. Non saremmo così se non avessimo imparato dal passato.
Anche i bambini, ad un certo punto si chiedono com’era la vita prima della loro nascita.
“Mamma, come sono nato? Tu com’eri prima? Come vi siete conosciuti tu e papà?”.
Il “prima” di noi è un concetto difficile da comprendere, eppure già quasi innato. Sapere cosa è successo prima, ci permette di ricostruire il nostro vissuto, di conoscerci a fondo, e quindi di proiettarci nel futuro con più sicurezza, appropriandoci delle nostre radici. Siamo fatti di memoria, in fondo e no, non potremmo sopravvivere senza i nostri ricordi: saremmo solo condannati a ripetere sempre gli stessi sbagli, senza procedere, senza crescere. Fermi nello stesso punto, senza sapere dove andare.
Nonostante sia vitale conoscere il passato, oggi assistiamo ad un progressivo allontanamento dalla storia, come se fosse diventato un noioso fardello da smaltire: nella prova scritta dell’esame di maturità, ad esempio, la traccia storica è stata cancellata, così come le già poche ore scolastiche dedicate a questa disciplina, sembrino destinate a diminuire ancora.
Credo, piuttosto, che andrebbe rivisto il “come” insegnare la storia: leggere e studiare avvenimenti, dati e fatti non basta. Ciò che segna insegna e quindi tutto ciò che può essere sperimentato attraverso un percorso emozionale, può essere imparato in modo più efficace. Raccontare, ad esempio, gli ideali, le credenze, le storie della vita quotidiana, i valori, i sentimenti, la religiosità, lo spirito che animava gli uomini e le donne di un certo periodo storico, può ispirare e coinvolgere ed emozionare gli alunni. Utilissimo e interessante sarebbe la multidisciplinarietà dell’insegnamento: la storia che si intreccia con la filosofia, con l’arte, con la poesia e la letteratura. Cosa saremmo capaci di fare senza il nostro vissuto, senza la nostra storia? Diventeremmo sempre più simili a dei robot, programmati per svolgere attività, privi di bagaglio affettivo ed emotivo, privi di orientamento spaziale e temporale, privi di umanità. “La conoscenza è una fedele compagna di viaggio nella vita che suggerisce le scelte migliori da fare, giunti ad un bivio”.
Senza passato, non esisterebbe il presente e nemmeno il futuro.
E’ la Storia che ci rende umani.
Autore articolo: Antonella Bonavoglia
Articolo pubblicato su: “Il Sole 24 Ore”