La storia antica della Puglia è segnata dalla costante inimicizia tra la città greca di Taranto, metropoli del Mediterraneo, e le popolazioni della Messapia, organizzate in tribù sotto il dominio di potenti capi locali. Già al tempo della sua fondazione, l’oracolo di Delfi aveva stabilito che i coloni provenienti da Sparta sarebbero stato un flagello per gli Iapigi (con tale nome erano indicate le popolazioni indigene della Puglia) e l’archeologia mostra che i Tarantini avevano acquistato il territorio agricolo cacciando con la forza le genti già insediate. Anche il padre della Storia, Erodoto, fa riferimento a guerre sanguinose che, agli inizi del V sec. a.C., avrebbero opposto Tarantini e Messapi, con alterne vicende che, da parte greca, erano celebrate nel Santuario delfico di Apollo: gruppi statuari in bronzo raffiguravano i Tarantini vittoriosi sulle genti indigene della Puglia, sotto le sembianze di popoli sottomessi, con le prede di guerra costituite da donne e cavalli.
Sembra una storia di violenze e di odio senza fine, ma questa realtà cambia già agli inizi del IV sec. a.C., quando la visione politica di Archita avvia un dialogo di pace con i Messapi, e quando grandi potenze mediterranee si affacciano sull’orizzonte pugliese compreso tra i mari Ionio ed Adriatico. A quest’area è interessata Siracusa, con una presenza che si manifesta anche attraverso la fondazione di nuovi insediamenti sulle coste che guardano ai Balcani. Dalla Grecia del nord giungono, tra il 334 ed il 330 a.C., le armate del re dell’Epiro, Alessandro il Molosso, zio di Alessandro Magno, il quale stabilisce rapporti di alleanza sia con Taranto che con un re degli Apuli. Ma è Roma a costituire il pericolo maggiore, con la fondazione di colonie nel nord della Puglia e con una crescente pressione sui mari del meridione d’Italia. Contro il comune nemico si uniscono Taranto e i Messapi in una realtà di forte interazione in cui, dopo secoli dalla sua fondazione, la città greca aveva forti radici in questo territorio e non era da considerarsi meno «indigena» dei popoli apuli.
Nella seconda metà del IV sec. a.C. dalle ricerche archeologiche e dallo studio del territorio ci giungono tanti segnali di tali intensi rapporti; in questo periodo i Tarantini frequentano con maggiore intensità la zona del Capo iapigio e la stessa Leuca prende il nome, citato in un passo di Cicerone, di Leucopetra Tarentinorum, le bianche scogliere dei Tarantini, punto indispensabile di orientamento durante la navigazione. Lungo la costa salentina sul mare Ionio, questo spazio di interazione appare segnato dal culto di Artemide, dea dei confini; le terrecotte votive la raffigurano vestita di una pelle di pantera, mentre tiene saldamente nella mano un cerbiatto, simbolo del suo dominio sul mondo selvatico, abitato da animali che l’uomo non è riuscito ad addomesticare. È lei la dea dei porti, che segnano il limite tra la terra ed il mare, e le sue figurine in terrecotta sono state rinvenute in diversi siti della costa, in primis a Torre S. Giovanni, porto della città messapica di Ugento, e poi nel sito di Mancaversa, poco più a nord. Ma la dea è presente soprattutto nel territorio di Maruggio, nella località di Madonna d’Altomare, sulla costa poco più a sud di Torre Ovo: sopra un’alta duna indicata come Monte dell’Imbrici, per la presenza di abbondanti frammenti di ceramica sparsi sul terreno, furono rinvenuti i resti di un «santuario di confine», posto tra la chora, il territorio di pertinenza tarantina, e le zone controllate dai Messapi. Poco più a nord si trova l’area di Torre Ovo dove i materiali di superficie e lo scavo di alcune sepolture fanno pensare ad un’intensa frequentazione riferibile al IV-III sec. a.C.; l’ampia insenatura utile per l’attracco, e le strutture murarie in parte sommerse, a blocchi squadrati recanti lettere greche, sembrano funzionali ad un punto di approdo riconoscibile sull’isolotto oggi appena emergente, dove il grande muro a doppia cortina doveva essere stato creato a protezione dell’area in cui stazionavano le merci ed i mezzi di trasporto.
Rispetto all’insenatura costiera di Torre Ovo, l’entroterra appare interessato dagli insediamenti messapici di Manduria e, ancora più vicino al mare, de Li Castelli, parte di un’estesa area della quale Oria costituisce il centro dominante. Qui scavi recenti hanno portato alla luce, sull’acropoli, i resti di una reggia, decorata da mosaici pavimentali di ciottoli, come nelle regge dei dinasti ellenistici dell’Epiro e della Macedonia.
Poiché il sistema portuale di Torre Ovo, con Madonna d’Altomare fa parte dell’area di confine sud-orientale della chora di Taranto, sorge spontanea la domanda sulle ragioni che avrebbero spinto la metropoli greca a realizzare un’opera portuale così impegnativa, essendo già dotata di uno straordinario sistema di approdi sulla riva del Mar Piccolo. Forse le strutture di approdo a Torre Ovo furono realizzate in una prospettiva di collaborazione con la componente messapica, per servire alle esigenze di questa parte limitanea del territorio greco, ma anche del vasto e prospero territorio messapico, caratterizzato dalla presenza di centri di vitale importanza come Oria e Manduria.
Torre Ovo sarebbe il riflesso di una nuova politica di relazioni, a servizio delle esigenze commerciali, ma anche politiche e militari, di un vasto entroterra; uno spazio di negoziazione e di mediazione tra entità istituzionali differenti come la polis tarantina, i gruppi tribali apuli guidati da capi che rappresentavano le aristocrazie dominanti, i condottieri d’Oltremare, dei quali la reggia (basileion) di Oria rappresenta un documento straordinario, ancora tutto da scoprire nella sua complessa articolazione.
Con la istituzione a Taranto della nuova Soprintendenza Nazionale del Mare, guidata con autorevolezza scientifica ed operativa da Barbara Davidde, si aprono nuove possibilità affinché anche Torre Ovo, come gli altri siti costieri della penisola salentina, possano esprimere le loro rilevanti potenzialità di conoscenza. Un patrimonio eccezionale di storia, tra mare e terra, tutto da valorizzare, la cui capacità di attrazione è stata ora sancita dall’assegnazione della Bandiera Blu a Castro ed Ugento.
Autore articolo: Francesco D’Andria, professore emerito dell’Università del Salento, dove ha insegnato Archeologia greca e romana e ha diretto la Scuola di specializzazione in Beni Archeologici.
Articolo pubblicato su: “La Gazzetta del Mezzogiorno”, 22 Maggio 2022